Vai al contenuto

Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo I, 1831.djvu/159

Da Wikisource.

SOPRA DANTE 139

mattina, cioè nella sua giovanezza, divorò la preda, cioè uccise i cristiani, e al vespro, cioè nella sua età più matura, divenuto servidore a Cristo divise le spoglie: il quale da Dio fa eletto a conforto della nostra fede. Me degno a ciò: quasi voglia dire, perchè io non sia Enea nè san Paolo io potrei per alcun altro gran merito credere d’esser degno di venirvi, ma io non so: e questo d’esser di venir degno, nè io, nè altri il crede. Appresso questo conchiude al dubbio suo, dicendo: Perchè, cioè per non esserne degno, se del venire, laddove tu mi vuoi menare, io m’abbandono, cioè mi metto in avventura. Temo che la venuta, mia, non sia folle, cioè stolta, in quanto male e vergogna me ne potrebbe seguire. E quinci rende Virgilio, al quale egli parla, attento a dover guardare al dubbio il quale egli muove, in quanto dice: Se’ savio, e per questo, e intendi me’, ch’i’ non ragiono, cioè che io non ti so dire. E appresso questo per una comparazione, liberamente apre l’animo suo dicendo: E quale è quei, che disvuol, cioè non vuole, ciò ch’ e’ volle, poco avanti: E per nuovi pensier, sopravvenuti, cangia proposta, di fare:

Sì che dal cominciar tutto si tolle;
Tal mi fec’io in quella oscura costa:

Perciocchè mostra non fossero ancor tanto andati, che usciti fossero del luogo oscuro nel quale destandosi s’ era trovato: Perchè, pensando: mostra la cagione perchè divenuto era tale, quale è colui il quale disvuole ciò ch’l’volle: e dice che pensando non fosse il suo andare pericoloso: consumai, cioè fini’ la ’mpresa, che seco fatta avea di seguir Virgilio.