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SOPRA DANTE | 141 |
cioè occupata da tiepidezza e da pusillanimità, la quale non che le maggior cose, ma eziandio quelle, che a colui nel quale ella si pon si convengono, non ardisce d’imprendere. La qual, viltà, molte fiate l’uomo ingombra, cioè impedisce, Sì che d’onrata impresa, poi fatta, lo rivolve, della sua misera e tiepida opinione: Come, ingombra, falso veder, parendo una cosa per un’altra vedere: il che avviene per ricevere troppo tosto nella virtù fantastica alcuna forma, nella immaginativa subitamente venuta: bestia quand’ombra, cioè adombra, e temendo non vuole più avanti andare. E vuolsi questa lettera così ordinare, la quale molte fiate ingombra l’uomo, come falso vedere fa bestia, quand’ombra, e d’onorata impresa lo rivolve. Poi seguita. Da questa tema, la qual tu hai di venire laddove detto l’ho, acciocchè tu ti solve, cioè sciolghi, sì che ella non ti tenga più impedito; Dirotti, per ch’i’ venni, e, dirotti quel ch’io intesi,
Nel primo punto, che di te mi dolve.
cioè, che io ebbi compassione di te.
Io era tra color, che son sospesi:
In quanto non sono demersi nella profondità dell’inferno, nè nella profonda miseria de’ supplicii più gravi, come sono molti altri dannati: nè sono non che in gloria, ma in alcuna speranza di minor pena, che quella la quale sostengono. Poi segue Virgilio: ed essendo quivi:
E donna mi chiamò beata, e bella:
dove per mostrare più degna colei che il chiamò, le pone tre epiteti: prima dice he era donna, i1 qual