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SOPRA DANTE | 153 |
cammin, che volto è, a ritornarsi nella oscurità della valle, per paura, di quelle bestie:
E temo, che non sia già sì smarrito,
Ch’io mi sia tardi al soccorso, di lui, levata,
Per quel ch’io ho di lui nel cielo udito,
da Lucia: e pone la donna queste parole per avacciare l’andata di Virgilio: e appresso ancora il sollecita, dicendo:
Or muovi, e con la tua parola ornata;
Commendalo qui d’eloquenza, la quale ha grandissime forze nel persuadere quello che il parlatore crede opportuno:
E con ciò, che è mestiere al suo campare,
L’aiuta, da quelle bestie che l’impediscono, sì, cioè in tal maniera, ch’io ne sia consolata. E dette queste parole, manifesta il nome suo, dicendo:
Io son Beatrice, che ti faccio andare:
E detto il suo nome, gli dice onde ella viene, per mandarlo in questo servigio, acciocchè Virgilio conosca molto calernele; perciocchè senza gran cagione non è, il partirsi alcuno de’ luoghi graziosi e dilettevoli, e andare in quelli ne’ quali non è altra cosa chie dolore e miseria. E dice: Vegno del luogo, cioè di paradiso, ove tornar disio: e quinci gli apre la cagione che di paradiso l’ha fatta discendere in inferno dicendo: Amor. Grandi sono le forze dell’amore. Aequae multae non potuerunt extinguere charitatem: mi mosse, là onde io era: ed egli è quegli, che mi fa parlare, e pregarti. Appresso a questo, acciocchè Virgilio non sia tardo all’andare, come persona che guiderdone non aspetta della fatica,