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166 COMENTO DEL BOCCACCI

prestare alimenti alla verità, per la quale i gentili andarono nelle lor deità, secondochè le loro storie ne mostrano; e noi cristiani per l’attristarci de’ nostri peccati n’andiamo in vita eterna, nella quale noi siamo veri iddii e non vani. Queste due spezie di tristizia, mostra Virgilio d’avere ottimamente sentito nel sesto del suo Eneida, là dove egli manda i perfidi e ostinati uomini in quella parte dell’inferno, la quale esso chiama Tartaro, nella quale non è alcuna redenzione e gli altri i quali hanno sofferto tristizia e pena per le lor colpe, mena ne’ campi elisii, cioè in quello luogo ove egli intende che sieno le sedie de’ beati. O vogliam dire quello che per avventura piuttosto i poeti sentirono, gl’iddii, i quali costei nutrica e alberga, essere il sole e le stelle, le quali alcuna volta ne vanno in Egitto; e questo è nel tempo di verno, quando il sole essendo rimoto da noi, è in quella parte del zodiaco, la quale gli astrologi chiamano solstizio antartico; perciocchè oltre agli Egizii meridionali, in quelle parti abitanti, esso fa quello che gli astrologi chiamano Zenit capitis; e in questo tempo sono nutriti il sole e le stelle dalla palude di Stige, secondo l’opinione di coloro i quali estimarono, che i fuochi dei corpi superiori della umidità de’ vapori surgenti dall’acqua si pascessero; e appo questa palude di Stige, mentre nel mezzo dì dimorano, stanno e albergano. Che questa palude di Stige, secondo la verità, sia sotto la plaga meridionale, il dimostra Seneca in quel libro il quale egli scrisse delle cose sacre d’Egitto, dicendo che la palude di Stige è appo coloro che nel superiore emi-