Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo II, 1831.djvu/171

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SOPRA DANTE 167

sperio sono; mostrando appresso, che non guari lontano da Siene, estrema parte d’Egitto, verso il mezzodì, essere un luogo il quale è chiamato da’ poeti fiale, il quale è tanto a dire quanto amiche; e appo quel luogo essere una grandissima palude, la quale conciosiacosachè a trapassarla sia molto malagevole e faticoso, perciocchè è molto limosa, e impedita da’ giunchi, i quali essi chiamano papiri, è appellata Stige, perciocchè è cagion di tristizia, per la troppa fatica a’ trapassanti. Che gl’iddii giurino per questa palude di Stige, può esser la ragion questa: noi siamo usati di giurare per quelle cose le quali noi temiamo, o per quelle le quali noi desideriamo; ma chi è in somma allegrezza, non pare che abbia da desiderare, quantunque abbia che temere; e questi cotali sono gl’iddii, i quali i gentili dicevano esser felici: e perciò non avendo costoro che desiderare, resta che giurino per alcuna cosa la quale sia loro contraria, e questa è la tristizia: e che chi si spergiura sia privato del divin beveraggio, credo per ciò essere detto, perciocchè coloro, i quali di felice stato son divenuti in miseria, solevan dire essersi spergiurati, cioè men che bene avere adoperato; e così essere divenuti dalla dolcezza del divin beveraggio, cioè dalla felicità, nell’amaritudine della miseria. Costei esser madre della Vittoria, si dice pertanto che delle guerre non s’ha vittoria per far festa, mangiare e bere, ballare o cantare, nè ancora per fortemente combattere, ma per lo meditare assedio, e faticarsi intorno alle cose opportune, in far buona guardia, in ispiare i mutamenti e gli andamenti