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92 | COMENTO DEL BOCCACCI |
cere, e da altro. E ’l duca mio, veduto quello che Cerbero faceva, distese le sue spanne, cioè aperse le sue mani, a guisa che fa colui che alcuna cosa con la grandezza della mano misura,
Prese la terra, e con piene le pugna,
come la mano aperta si chiama spanna, così chiusa pugno,
La gittò dentro alle bramose canne
dice canne, perciocchè eran tre, come di sopra è mostrato. E appresso questo, per una comparazione ottimamente convenientesi al comparato, dimostra quel demonio essersi acquetato, e dice: Quale quel cane ch’abbaiando, cioè latrando, agogna, agognare è propriamente quel disiderare, il quale alcun dimostra veggendo ad alcuno altro mangiare alcuna cosa, quantunque s’usi in qualunque cosa l’uom vede con aspettazione disiderare; ed è questo atto proprio di cani, li quali davanti altrui stanno quando altri mangia, E si racqueta, senza più abbaiare, poichè ’l pasto morde, cioè quello che gittato gli è da mangiare,
Che solo a divorarlo intende e pugna;
Cotai si fecer, cioè così quiete, quelle facce lorde, brutte di Cerbero, che eran tre,
Dello demonio Cerbero, che ’ntrona
latrando, L’anime, in quel cerchio dannate, sì, ch’esser vorrebber sorde, acciocchè udire noi potessero. Questo luogo è tutto preso da Virgilio, di là dove egli nel sesto dell’Eneida scrive:
Cerberus haec ingens latratu regna Trifauci
Personat, adverso recubans immanis in antro.