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98 LA TESEIDE


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E dicoti che già sua prigionia
     M’è grave più che quella di Teseo:
     Già più d’affanno nella mente mia
     Sento, che non credea che questo iddeo
     Donar potesse: e gran nostra follia
     A quella finestretta far ci feo,
     Quando colei cantava, tanto vaga,
     Che già per lei di morte il cor si smaga.

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Io mi sento di lei preso e legato,
     Nè per me trovo nessuna speranza;
     Anzi mi veggio qui imprigionato,
     Ed ispogliato d’ogni mia possanza.
     Dunque che posso far che le sia grato?
     Nulla: ma ne morrò senza fallanza:
     Ed or volesse Iddio ch’io fossi morto,
     Questo mi fora sommo e gran conforto.

25


O quanto ne sarieno a tal fedita
     Gli argomenti esculapii buoni e sani,
     Il qual dicien che tornerebbe in vita
     Con erbe i lacerati corpi umani!
     Ma che dich’io? Poichè Apollo, sentita
     Cotal saetta, che i succhi mondani
     Tutti conobbe, non seppe vedere
     Medela a sè che potesse valere?