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LIBRO QUARTO | 123 |
11
Poi ad Amor le sue voci volgea
Con troppo più orribile favella,
Dolendosi di lui; poscia dicea:
Oimè, Fortuna dispietata e fella,
Che t’ho io fatto che sì mi se’ rea?
O morte trista vien che ’l cor t’appella:
Congiungi me col tuo colpo feroce
Co’ miei passati nell’infernal foce.
12
Così piangendo con seco Penteo,
Più doloroso assai che non appare,
Il dì seguente del regno d’Egeo
Uscì co’ suoi, e cominciò ad entrare
In quel che già felice assai poteo,
Cioè in Beozia; e dopo alquanto andare,
Parnaso avendo dietro a sè lasciato,
Alla distrutta Tebe fu arrivato.
13
E vide tutta quella regïone
Esser diserta allora d’abitanti:
Perch’egli cominciò: o Anfione,
Se tu, intanto che co’ dolci canti
Della tua lira, tocca con ragione
Per chiuder Tebe, i monti circustanti
Chiamasti, avessi immaginato questo,
Forse ti sarie stato il suon molesto.