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LIBRO QUARTO | 125 |
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Piccola forza omai al tuo furore
Finire ha luogo, ch’io e Palemone:
Nè altri più del sangue di Agenore
Rimasi siamo: ed egli è in prigione,
Ed io in tristo esilio; nè peggiore
Stato potresti donarci o Giunone,
Fuor se ci uccidi; e questo per conforto
Disidera ciascun d’esser già morto.
18
E detto ciò, con ira sospirando,
Da quella torse il viso disdegnoso,
Co’ suoi scudieri ver Corinto andando;
Nella qual giunto, assai piccol riposo
Fece, ma ver Micena cavalcando,
In essa, quasi fuor di sè, pensoso
Pervenne quivi, e così sconosciuto,
A servir Menelao fu ricevuto.
19
Egli era ancora molto giovinetto,
Siccome barba non aver mostrava;
Bello era assai e di gentile aspetto,
Ed a gran pena quel ch’era celava:
Ben l’avie fatto alquanto palidetto
L’amorosa fatica ch’e’ portava;
Ma non così che molto non piacesse
A chiunque era quel che lui vedesse.