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LIBRO DECIMO 347


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Il qual poi vide innanzi a sè venuto,
     E rimirato l’ebbe lungamente
     Con luce aguta, quasi conosciuto
     Pria non l’avesse, con voce dolente
     Disse: Palemone, egli è voluto
     Nel ciel che qui più i’ non ne stia niente:
     Però innanzi il mio tristo partire
     Veder ti volli, toccare ed udire.

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Tanto m’ha sempre avversato Giunone
     Che del seme di Cadmo solo Arcita
     N’è conosciuto, e tu, o Palemone:
     Or mi conviene angosciosa partita
     Da te parente amico e compagnone
     Far, poi le piace, che alla mia vita
     Stata è invidiosa, allor ch’ella potea
     Più contentarla, se ella volea.

40


In quella entrata ch’io doveva fare
     Ad esser degli suoi raccomandati,
     Fa ella il mondo lieto a me lasciare,
     Per congiungermi a’ nostri primi andati:
     Or m’avesse ella pur lasciato entrare
     Per tre giornate ne’ suoi disiati
     Luoghi, ed appresso in pace avria sofferto
     Ch’ella m’avesse morto, ovver diserto.