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LIBRO DUODECIMO 417


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Ed io di quelle fui contra la quale,
     Per ciò che ’l boto non volea servare,
     Ha ella usato il già veduto male,
     Prima contro ad Acate, a cui donare
     Tu mi dovevi, e l’altro a quello eguale
     Contro ad Arcita; come ancor si pare
     All’abito di noi, ch’ora ne siamo
     Di ner vestiti, e ancora ne piangiamo.

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Se tuo nimico fosse Palemone,
     Come fu già, volentier lo farei;
     Ma non vedendo agual nulla ragione
     Perchè odiar lo debbi, crederei
     Che fosse il me’, senza più provagione
     Far oramai del poter degl’iddei,
     Che mi lasciassi a Diana pur servire,
     E ne’ suoi templi vivere e morire.

43


A cui Teseo: questo dire è niente:
     Chè se Dïana ne fosse turbata,
     Sopra di te verria l’ira dolente,
     Non sopra quelli alli qua’ se’ donata:
     E però fa’ che lieta immantenente
     Di cor ti veggia e d’abito tornata:
     La forma tua non è atta a Dïana
     Servir ne’ templi nè ’n selva montana.


bocc. la teseide 27