Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/176

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6 a m. pino de’ rossi

sposta a prender l’aiuto del medicante, parmi che più da stare non sia senza scrivervi; il che non lascerò di fare, quantunque la bassezza del mio stato e la depressa mia condizione tolgano molto di fede e di autorità alle mie parole. Perciò se alcun frutto farà il mio scrivere, sommo piacer mi sarà, dove non lo facesse, tanto sono uso di perdere delle fatiche mie, che l’avere perduta questa mi sarà leggiere.

Soglionsi adunque, siccome a’ più savi pare, nelle novità degli accidenti eziandio le menti degli uomini più forti commuovere. Quantunque voi e forte e savio siate, in sì grand’empito della fortuna, come quello è che quasi in un momento vi giunse addosso, odo che fieramente e doluto e turbato vi siete. In verità io non me ne maraviglio, pensando primieramente che convenuto vi sia lasciare la propria patria, nella quale nato e allevato e cresciuto vi siete, la quale amavate e amate sopra d’ogni altra cosa, per la quale i vostri maggiori e voi, acciocchè salva fosse, non solamente l’avere, ma ancora le persone avete poste. Ma così vi voglio dire, quantunque questo strale, ch’è il primo che l’esilio saetta, sia, e specialmente improvviso, di gravissima pena e noia a sostenere, o a ricevere che dir vogliamo, nondimeno si conviene all’uomo discreto, dopo il piegamento dato da quello, risorgere e rilevarsi, acciocchè standosi in terra non divenga lieta la nimica fortuna d’intera vittoria; e acciocchè questo rilevamento si possa fare, e possa il rilevato consistere, è di necessità di avere gli occhi della mente rivolti alle vere ragioni ed agli esempi, e non alle false opinioni