Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/205

Da Wikisource.

lettera 35

e le lagrime, le quali piuttosto tolgono agli afflitti consiglio, ch’elle non danno aiuto; e quella fortuna che Dio vi apparecchia sperando migliore, pazientemente sofferite. Nè crediate ch’egli stringa più le mani della sua grazia a voi, che abbia fatto a quelli che di sopra ho nominati, o a molti altri. Nè voglio che voi diciate il nostro cittadinesco proverbio, che a confortator non duole il capo: ben so io che dal confortare all’operare è gran differenza, e dove l’uno è molto agevole, l’altro è malagevole sommamente. Ma chi dà quello ch’egli ha, non è tenuto a più. Se io vi potessi in opera aiutare siccome in conforto, forse da rifiutar sarieno se io nol facessi. Ed io non mi posso nascondere a voi, voi sapete ciò che posso. In quello adunque vi sovvengo che conceduto m’è. E dovete ancora sapere che, se de’ conforti non si dessero, molti per tristo animo in miseria verrieno meno.

E perciocchè molte parole ho speso intorno a quello ch’io credo che vi bisogni, secondo il vostro presente stato, anzi che io faccia fine, a mostrarvi qual sia il mio alquante ne intendo di scrivere. Io secondo il mio proponimento del quale vi ragionai sono tornato a Certaldo, e qui ho cominciato, con troppa meno difficoltà che io non estimava di potere, a confortare la mia vita, e cominciaronmi già i grossi panni a piacere e le contadine vivande, e il non vedere le ambizioni e le spiacevolezze e i fastidii de’ nostri cittadini mi è di tanta consolazione nell’animo, che se io potessi fare senza udirne alcuna cosa, credo che il mio riposo crescerebbe assai. In iscambio de’ solleciti avvolgimenti e continui de’ cittadini,