Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/216

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46 a messer francesco

lasciate, delle quali i dì del santo digiuno eramo pasciuti, cotte in olio fetido! Ma per ristoro delle sopraddette cose, sopravvenivano vini o agresti o fracidi, ovvero acetosi, non sufficienti a torre via la sete, eziandio se molta d’acqua vi si mettesse. Questo non arei mai creduto essere stata tua operazione, se tu avessi cenato con noi; perchè mi ricordo con quanta cura tu solevi cercare gli ottimi vini; ma tu, siccome savissimo sempre, lasciata la sventurata moltitudine, salivi il monte di Cassino, e ne’ conviti reali, o, se piuttosto vuoi, del tuo Mecenate, t’inframmettevi, ne’ quali erano più larghi bocconi messi ne’ vasi d’argento, e quivi ottimi vini sorsavi: magnifiche cose veramente, e degne del tuo gran Mecenate, interamente ragguardanti e dirittamente alla felicità promessa!

Forse che tu dirai: che aresti tu voluto? Non conoscevi tu il costume de’ cortigiani? Quello che basta agli altri non doveva bastare a te? Ottimamente di’, anzi santissimamente ed amichevolmente. Conobbi dalla mia puerizia i costumi de’ cortigiani e la vita loro; ma non mi credeva esser chiamato per seguitare quelli o per osservarli, anzi per esser partefice della felicità del tuo Grande; e nella lettera mia, innanzi ch’io venissi, chiaramente protestai ch’io non potrei sofferire quelli. Perchè non dunque, se questo non era all’animo di Mecenate, non m’era negato l’andare? Nondimeno io non desiderava quello che tu pensavi; perocchè, se io sono di vetro al giudizio tuo, io non sono uomo goloso, nè trangugiatore, nè ancora per troppa mollezza ef-