Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/219

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epistola 49

presso il quale esso si difese: così dal peso mio il tuo Mecenate alleggerii, ed esso tuo magnifico Mecenate, quasi da magnifici fatti impacciato, infignendo di non vedere, tacito sel sostenne, e tu molto maggiormente: ma non più liete cose ci restano.

Sai che, mentrechè quasi separato coll’ottimo giovane un pochetto mi ristorassi, con quante letteruzze e con quante ambasciate io fossi dal tuo Mecenate chiamato, acciocchè insieme con tutti i libri miei, quasi da parte, alquanti dì a lieto riposo vacassimo: e poichè per mia disavventura fui venuto, sai quante sconvenevoli cose io soffersi. Tu ti puoi ricordare, non meno realmente quivi che nella Sentina io fossi ricevuto! Una fetida cameruzza mi fu conceduta, quasi così fatte cose a me in prova, come se meritate l’avessi, si cercassono. Di quindi uno letticciuolo di lunghezza e di larghezza appena sufficiente ad un cane mi fu apparecchiato, Oh con che schifi e quasi lagrimosi occhi lo riguardava! Io non negherò che se io non avessi avuti i libri, di certo immantenente mi sarei tornato a Napoli. Stetti adunque legato con quella catena. E perchè forse il tuo Grande non molto credeva a coloro che gli ridicevano quanto vituperevolmente io fossi in luogo così pubblico trattato, esso medesimo volle vedere; e attorniato da una brigata di gentili uomini entrò nella puzzolente cameretta, ogni abito della quale con uno agevole volger d’occhio poteva ciascuno vedere: niuno ripostiglio era in quella, ogni cosa era in aperto. Vide adunque, tra l’altre cose, il letticciuolo, e, quello che dell’animo cacciar non mi posso, tacito riguardò. Volesse Iddio


let. volg. 4