Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/224

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54 a messer francesco

vero, al tuo giudicio; se solamente una volta io sia suto sospinto e commosso in ira, Non sostenn’io, benchè con doloroso animo, la fetida ed abbominevole Sentina due mesi, degna d’essere fuggita da’ corbi e dagli avvoltoi? Certo io la sostenni. Non sono io suto straziato ed uccellato con cento vane promesse? non ingannato come un fanciullo con mille bugie? non son’io suto costretto dalle villanie e schifiltà vostre ad abitare l’altrui case? Veramente sono; e nol puoi negare, benchè tu vogli. E benchè queste cose sieno gravissime a sostenere, quando me versare, o rompere, o furioso mi vedesti tu? Io confesso ch’io mi sono rammaricato teco, ma senza romore e senza tumulto, con voce mansueta e quasi con tacito parlare, È questo costume d’uomo di vetro essere sei mesi con taciturnità tirato da tante bugie? Tu aresti forse voluto che io, guidato dallo esemplo tuo, avessi sino al fine della vita sostenuti questi fastidii. Non mi penso però ch’io fossi detto meno di te paziente, acciocchè colla pigrizia mia io rendessi te scusato. Tolga Iddio questa vergogna da uomo usato nelle cose della filosofia, dimestico delle Muse, e conosciuto da uomini chiarissimi, e avuto in pregio, che a modo delle mosche, con aggirar continuo, attorneando vada ora le taverne del macello, ora quelle del vino, cercando le carni corrotte e ’l vino fracido, portando la taglia in mano, i fornai visiti e i farsettai, e le femminelle che vendono i cavoli, per portar esca ai corvi comperati con picciolo pregio. Non è a me cotale animo; non mi mandò ancora così sotto la fortuna, benchè il tuo Mecenate mi v’abbia