Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/230

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60 a messer francesco

altrimenti che nella sedia della sua maestà, vi siede, stando d’intorno le femmine sue, veramente non meretrici, che troppo disonesto parrebbe, nè sirocchie, nè parenti, nè nipoti; e tra gli troppo discordevoli romori del ventre, e il cacciar fuori del puzzolente peso delle budella, gran consigli si tengono, ed i proprii fatti del regno si dispongono, le prefetture si disegnano; a bocca si rende ragione, e alli re del mondo e al sommo pontefice e alli altri amici si dettano a scrivono e correggono lettere, i lusinghieri ed i Greculi insieme colle femmine sue approvanti; credendosi gli sciocchi che aspettano nella corte, che egli, ricevuto nel concistoro degl’Iddii, insieme con loro dello stato universale della repubblica tenga solenne parlamento. O pazienza d’Iddio grande! che dirai quì? Col tedio del lungo aspettare uccide coloro a’ quali poteva con poche parole o colla sua presenza satisfare. Io mi ricordo, spesse volte, e molto più agevolmente, e al sommo pontefice e a Carlo Cesare e a molti principi del mondo avere avuta l’entrata, e copia di parlare essermi conceduta, che appresso costui, per più ore, ponendo giù il peso del ventre, molti nobilissimi uomini, per non dire degli altri, non poterono avere: veramente cosa abbominevole e intollerabile troppo.

E non è dubbio che egli non acquisti l’odio di molti, la grazia de’ quali poteva agevolmente meritare; perocchè, mentrechè che esso crede che, all’usanza antica de’ re di Persia, per furare sè stesso dagli occhi degli amici, ovvero di lui bisognosi, ampliare la maestà del suo nome, guadagna l’inde-