Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/243

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epistola 73

biano sudato, acciocchè le fatiche loro diventassono esca delle tignuole e della polvere. E non dubito avverrà, se non per la mia fatica, almeno per l’altrui, che colui che crede tenere le Muse prese, fia sospinto nella ruina del disleale oste Pireneo, quelle volantisi via. Molte cose, oltre a queste, potrei aver dette, e me, s’io temetti, avere renduto scusato; perocchè a lui sono molte arti perchè egli meni gli uomini dove e’ vuole: perocchè egli è malizioso e pieno d’inganni. Ma poichè, per divina grazia più che per mio senno, dalle mani sue son venuto sicuro, giudicai lasciare l’altre cose agli altri.

Ma acciocchè di questa parte alcuna cosa rimasa non esaminata (oltra le cose che dal suo Coridone sono sute date a credere al tuo Mecenate) non resti, altro da molti gli è attribuito. Magnanimo il dicono molti; la qual cosa egli con tutti gli orecchi riceve. Gran cose, e quasi avanzanti le forze degli uomini, sono l’opere della magnanimità, forse conosciute da molti, ma osservate da pochi; perocchè la magnanimità è bellezza e glorioso ornamento dell’altre virtù e, come vollono i nostri maggiori, del Magnanimo è con egual viso ed animo sofferire ogni cosa che viene; il che spontaneamente confesso Mecenate tuo alcuna volta aver fatto. Io ho udito, e credolo, lui avere con viso e parole e animo immobile uno giovane figliuolo d’ottima testificanza perduto: e so niuno altro ne’ preteriti anni miei ciò aver fatto, se non Ruberto re: e non sono più degni di eterna memoria che si sia costui, Orazio Pulvillo, ovvero Emilio Paolo, o Anassagora, o altri simili, li nomi