Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/251

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epistola 81

povero campicello. Costui, che con tanta fatica desiderava, trovò chi il suo sotto l’ombra degli altri involgesse in perpetue tenebre, quando si pensava in amplissima luce esser levato. Così fa la fortuna, così inganna gli animi degli uomini, quando si pente d’avere alcuno levato in alto. Così m’aiuti Dio, com’egli è da aver compassione a questo tuo! Ma lasciando questo, è da venire più oltre.

Tu mi scrivi ch’io non doveva così subito il partire da Mecenate tuo, anzi la fuga arrappare. Maravigliomi in buona fe’ che tu mi scrivi così, perchè conosci te contra la coscienza tua aver scritto. Credo che tu abbi penna più agevole ad ogni cosa, che non ho io. Volesti piacere al tuo Mecenate; il che forse avere così fatto non è da dannare, poichè se’ al suo servigio obbligato, conciossiacosach’io, per non fare quello, mi sia partito. Ma dimmi? può ragionevolmente essere detto partirsi di subito, e arrappar la fuga, colui che domandata licenza, salutati gli amici, ancora dopo alquanti dì ordinare le sue somette, e quelle mandare innanzi; partire di subito? Coloro che fuggono sono usati non salutare niuno, occupazioni fingere in quel luogo d’onde partire si debbono, con faccia velata e nell’oscura notte entrare in cammino. Ma io non feci così. Più di innanzi dissi il partire mio; se alcuno altro non avessi salutato, te almeno mi ricorda aver salutato, e non di notte e con velata faccia salii a cavallo: già saliva il sole all’ora di terza, quando di pubblico e di luogo usato da’ mercatanti con aperto viso mi partii; e preso il cammino con più compagni trovati cono-


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