Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/275

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rò povertade, è già meco; se mi fosse di lungi, la troverò presto dovunque; nè per conseguirla servirò mai alcun re. Se avrò disio di ricchezza, o almeno di tanto denaro da vivere, ti confesso che non avendone, luoghi non mancherianmi affatto da poterne trovare. Padova, Verona, Ravenna la vecchia, Forlì, sebbene renitente, mi chiamano. Mi opponi i tiranni? dirò che da tiranni è anche il desiderare grandemente denaro. Posto ciò: si presenta un’altra risposta più vera, quantuque si offra meno adattata al presente bisogno, ma no, adattatissima: anche tu stai con de’ tiranni; bensì tiranni di fausto titolo ornati. Ma che dico? ricchezze e sublimità debbon essere con tanto impegno desiderate, o ricercate per maggiormente farsi conoscere? stoltezza ella è questa! bisogna ricordarsi di quella egregia sentenza di Seneca nostro: chi è troppo noto agli altri, muore ignoto a se stesso. Vivo povero meco? vivrei ricco e splendido agli altri; e godo più co’ pochi miei piccioli libricciuoli, di quello che godano con gran diadema i tuoi re. Credo ti maraviglierai di questo mio parlare, perchè forse è mal d’accordo con quel che dissiti avanti. Ma qualunque cosa i’ potessi aver detto prima, parlai fuori d’intenzione, e meco inflessibilmente il serbava, sinchè tempo si desse: eccolo dato; dissi, e sarei venuto a dirlo costà, se non mi fosse stato fermamente nell’animo di non rivedere più mai il regno ausonio, durando l’auge delle prosperità del tuo Magno ; e non per disdegno ch’io m’abbia di quelle; che ne godo, sì mi ami Dio, ma perchè non avesse a dire ch’io vo die-