Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/276

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tro alle tranquillità. Forse ei non crede che le anime de’ poveri sentano, conoscano, si sdegnino? Ma sentono, conoscono, sdegnansi anch’esse; bensì con senno migliore tacciono a tempo, e vomitano poi quel che già concepirono. Oh Dio volesse ch’io mi trovassi mente uguale al potere, o potere uguale alla mente! tu vedresti allora più chiaro quanto grande anima in picciol petto si stia! Ma per ora lasciamo questi discorsi: chè se oculato sei, come ti credo, anche tacendo m’intenderai. Ma torniamo, per così dire, alla virtù prodigiosa di questo personaggio, del quale parliamo. Udii, se i voti riusciranno a buon fine, non senza stupore grandissimo dell’animo mio, quel che mi scrivesti della fortezza del Magno tuo in caso calamitoso e lacrimevole tanto; e basto appena a me stesso per la maraviglia; di qua, di là con varii pensieri, volgo e rivolgo se concedere in qualche modo si possa, che egli così sasseo, così ferreo, in somma, così affatto insensibile sia, che ad occhi asciutti, con volto imperterrito, con animo inflessibile abbia potuto udire la nuova della morte di tanto valoroso, tanto celebre, e di tanta espettativa giovine cavaliero, il primogenito suo! Inoltre, lo che stimo non meno ammirabile, al principe compassionantelo, ed agli altri Magnati, quasi al medesimo punto, che nuova della morte gli giunse, egli con petto inconcusso, con voce non interrotta e continuato discorso, con prolissa e studiata dicacità, che de’ morti non debbesi aver più cura, ed altre molte filosofiche, più che militari dicerie predicasse. Oh bella, nè mai prima udita operazione! Oh di tanto personaggio ine-