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parte seconda | 49 |
LXIII.
Affrico udendo quivi esser venuta
La sua tenera madre, fu cruccioso
Perch’ella s’era di lui avveduta;
Ma fatto già per amor malizioso,
Tosto gli fu nel cor scusa venuta,
E ’l capo alzò col viso lagrimoso,
E disse: madre mia, quando tornava
LXIV.
Poi mi rizzai, e rimasemi al fianco
Una gran doglia, ch’appena tornare
Pote’ infin qui, e divenni sì stanco,
Che sopra me non potea dimorare,
Ma come neve al sol mi venìa manco,
Perch’io mi venni in sul letto a posare:
E parmi alquanto la doglia ita via,
LXV.
E però, madre mia, se tu m’hai caro,
Ti prego che di qui facci partenza,
E per Dio questo non ti sia discaro,
Che ’l favellar mi dà gran penitenza,
Nè veggio alla mia doglia altro riparo:
Or te ne va’, senza più resistenza
Fare al mio dir, che per certo conosco
Che ’l più parlar m’è velenoso tosco.
ninf. fies. | 4 |