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parte seconda | 53 |
LXXV.
Nè spero d’essa giammai riuscire
Nè pace aver nè tregua nè riposo,
Ma bene aspetto che maggior martire
Mi cresca ognor col pensiero amoroso,
Il quale al fin farà del corpo uscire
L’anima trista con pianto noioso,
E gir fra l’ombre nere a suo dispetto,
LXXVI.
E io ti chieggio morte, poichè dei
Medicina esser di mia amara vita,
Perchè contra mia voglia viverei,
Se non mi dai nel cor la tua fedita,
E sempre mai di te io mi dorrei,
Ma se tu vien sarai da me gradita;
Dunque vien tosto, e scio’ questa catena
LXXVII.
Poi detto questo forte lagrimando
Sì ricordò del dardo, il qual lanciato
Gli avea la bella ninfa: e poscia quando
Con pietose parole avea parlato,
Ch’egli schifasse il dardo, che volando
Venia per lui per l’aria affusolato:
Quelle parole gli davan fidanza
Alcuna di pietà con isperanza.