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RAGGUAGLIO LXXXI

I popoli virtuosi dello Stato di Apollo, dopo l’avere al pubblico tesoriero di Sua Maestá fatto il solito donativo di un milione di concetti, conforme il costume loro le chiedono una grazia.

Quei, ch’esatta cognizione hanno delle cose di questo Stato, sanno che i virtuosi di Parnaso alla Camera reale non solo pagano la decima dei frutti tutti degl’ingegni loro, ma il censo tassato secondo il talento di ciascuno. Ond’è che il fecondissimo Ovidio a’ pubblici riscuotitori ogni anno paga otto elegie, Vergilio ottanta versi eroici delle stampe, Orazio cinque ode, Marziale undici epigrammi, e cosi gli altri secondo la tassa loro. Oltre ciò i virtuosi ogni triennio sotto nome di donativo (donativo però che, non dandosi di buona voglia, senza perder il modesto suo nome, si può esigere dagli sbirri, tórre i pegni e venderli all’incanto) al tesoro delfico pagano un milione di concetti, i quali dalle serenissime muse con mano liberalissima sono dispensati poi a que’ poveri letterati, che, privi d’invenzione, per la sola pronta volontá che mostrano di avere verso le buone lettere, si rendono degni di essere aiutati; ed è solito che, nell’occasione di tanto donativo, Sua Maestá la liberalitá de’ suoi virtuosi ha costume di sempre contracambiare con alcune grazie, che a’ letterati è conceduto dimandarle. Di modo che la settimana passata, dapoiché fu raunato il donativo, in una generale lor congregazione deliberarono i virtuosi che ad Apollo si chiedessero sei grazie; le quali tutte furono poste in un memoriale che doveva esser presentato, quando la forbita classe de’ virtuosi politici avverti ognuno che nelle occasioni di chieder grazie a’ prencipi per meriti che si pretendono da essi, facea bisogno fuggir l’errore di domandar molte cose: non solo perché la moltitudine delle grazie che si desiderano annoiano i prencipi, facilissimi a disgustarsi nelle occasioni di pagar gli obblighi, ma perché chi molte cose chiede, sempre accade che suol esser