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RAGGUAGLIO XLVI

[Col suo governo di Pindo don Ferrante Gonzaga dimostra esser piú perniciosi al mondo i dotti, che gli ignoranti.]

Avendo il governator di Pindo fornito il tempo della sua carica, ordinò Sua divina Maestá che si facesse il concorso per provveder quel Stato di nuovo governatore; piú felice molto di tutti gli altri soggetti riusci il signor don Ferrante da Gonzaga, il quale, essendosi transferito al suo governo, poco dopo che vi fu giunto institui un collaterale per le cose che concerneano negozi di Stato, un senato per deliberar le faccende della giustizia civile e criminale, un tribunale per il patrimonio di Sua Maestá, pose mano a fortificar la cittá di Pindo con baloardi fatti alla moderna, fece instituir una milizia di poeti ungari, i quali esercitava tutto il giorno, di modo che, vedendosi quei abitatori tanto travagliati, fecero risoluzione di ricorrere a Sua Maestá, la quale supplicarono che quanto prima rimovesse da quel governo soggetto tanto grande che era sproporzionato a quella piccola cittá, e che rimandasse quel cervellone di don Ferrante di nuovo al governo di Sicilia o di Milano, ché Pindo non capia un uomo tanto grande. Pigliò Apollo informazione delle molte innovazioni fatte dal suo ministro, e acerbamente se ne dolse con esso lui, e ordinò agli esaminatori che per l’avvenire stessero piú vigilanti, che si servissero di ministri idioti e di basso ingegno, e che era l’esami ne introdotto per escludere i dotti, non gli ignoranti, essendo quelli al mondo piú perniciosi di questi.