Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/244

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accettarlo. Altri hanno creduto che in quella austera vita egli abbia pianto l’apostasia dei re d’Inghilterra, della quale, allora che egli tanto apertamente si oppose per zelo dell’onor di Dio e della propria riputazione al divorzio che desiderava fare il re Enrico ottavo, si stimava esser stato potissima cagione. Molti hanno detto che tanto prencipe in quella solitudine abbia pianto il sacco infelicissimo che il suo esercito diede a Roma. Alcuni poi hanno tenuto per certo che egli in quell’eremo con lacrime continove si sia afflitto del gravissimo errore che commise, allora che troppo frettolosamente renunziò al fratello quello imperio romano che, se avesse fatto cadere nella persona del figlio Filippo secondo, grandemente averebbe facilitato quella monarchia universale nella cui fabrica egli aveva spesi gli anni tutti della sua vita. Né vi sono mancati di quei c’hanno creduto che quella risoluzione piú tosto fosse necessaria che voluntaria, perché, avendo egli il re Filippo suo figliuolo di cosi grande etá, che non era piú bene che fosse veduto al mondo con lo spettacolo orrendo del padre vivo che comandava, a fine che nella sua casa il mondo non vedesse qualche lacrimevol tragedia, avesse voluto con la divozione coprire la necessitá. Ma tutti questi discorsi cessarono subito che da un suo secretario di Stato si seppe, che quel gran prencipe conobbe di non aver fatto in tutta la sua vita altro piú mortale errore, che quando, per dar sodisfazione ai baroni napolitani, rimosse dal governo di quel regno don Pietro di Toledo: fallo invero degno di cosi gran penitenza, poiché con l’espulsione di quel ministro perpetuamente ruinò il buon governo del regno di Napoli, avendo con quello errore fatto insuperbire i popoli, che con summission grande devono obbedire, e invilire quelli officiali, che con autoritá e intrepidezza grande devono comandare.