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Fedria. —Credi tu, Parmenone, che io sia per star saldo in questa mia deliberazione e che possa sopportare di non tornare mai alla cittá fra questo mezzo? Dimmi, di grazia, se Dio ti aiuti, il parer tuo.

Parmenone. — Voi credete poter star due giorni senza vedere Taide? Io non lo crederò mai, perché, o ritornerete avanti che sia sera, o non potendo in villa dormire per lo martello che avrete, sarete forzato tornar a casa.

Fedria. — Piglierò alla fine una zappa ovvero una vanga in mano e mi stancherò tanto ch’io dorma per forza.

Parmenone. — Ci guadagnerete questo di piú, che sarete tormentato dal non poter dormire e dalla stanchezza.

Fedria. — E va via, di grazia, se tu vuoi; tu non sai, Parmenone, quello che ti dici. Bisogna che io dia bando a questa mia troppa delicatezza: mi amo troppo. E quando bene, Dio immortale, bisognasse, non che due, star fuori in villa tre giorni intieri, intieri, non mi dará finalmente il cuore di star tanto senza veder la mia Taide?

Parmenone. — Oh, oh! Tre giorni intieri! Guardate quello che fate !

Fedria. — Un animo resoluto fa ciò che vuole. Rimanti, che pur ora voglio partirmi.

Parmenone. — O Dio buono, che incurabile infermitá è questa? È egli possibile che questo amore faccia trasformar di costumi di modo gli uomini, che, dopo che altri comincia ad invogliarsi di una donna, non piú si riconosca da alcuno per quegli stesso per lo quale era conosciuto prima. Non visse mai giovane né piú sagace, né piú continente e severo del mio padrone, e ora vedi ove l’amor di una donnicciuola l’ha condotto. Ma chi è costui ch’io veggo venir qua? Si, si, è quel mangione del servitor del Capitano, e mena seco la giovane per donarla a Taide. Canchero gli venga, ella è pur bella! Non sará gran fatto ch’io mi vituperi oggi col bel presente di questo mio eunuco mezzo fracido. Al corpo di mio padre, che costei è piú bella di Taide!