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TRADUZIONI

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Gnatone. — E di che sorte! Né tanto per lo dono stesso, quanto perché le vien donato da un vostro pari, e perciò brilla e impazzisce di allegrezza.

Parmenone. — Poiché Cherea si è posto all’ordine, voglio andar a vedere quando sia tempo di menarlo a Taide.

Trasone. —Vedi, Gnatone: io ho questo particolar dono dalla natura, che non faccio cosa che non sia carissima a tutti e’ prencipi del mondo.

Gnatone. — Dal primo giorno che io venni in casa vostra me ne avvidi benissimo.

Trasone. — Anzi, l’Imperadore, quando io lo serviva nella guerra contro il Turco, se io era in corte, egli stesso mi ringraziava ancor di ogni minima cosa che io avessi fatta e, quando io era fuori, lo facea per suoi ambasciatori, il che non avrebbe fatto con altri prencipi o baroni, per quanto avea cara la grazia mia.

Gnatone. — Io non me ne meraviglio punto, signor Capitano, poiché gli uomeni di gran consiglio, come siete voi, solo con le parole sanno imporsi quella gloria, che altri a fatica si acquista co’ fatti.

Trasone. — Tu l’intendi per eccellenza.

Gnatone. — L’Imperador dunque vi portava...

Trasone. —Non occorre ragionarne.

Gnatone. — ... grand’amore?

Trasone. — Anzi, ti dico di piú, che lasciava tutto il carico della guerra e il maneggio degli eserciti si riposassero sopra di me, né gli occorreva negozio importante di Stato, che subito non se ne consegnasse col capitan Trasone.

Gnatone. — Gran cose son queste.

Trasone. — Oltre di questo, se alcuna volta le troppe audienze e la moltitudine de’ negozi gli venivano a fastidio, quando volea un poco riposarsi... come se... tu lo sai benissimo, senza ch’io lo dica per mostrar di vantarmi...

Gnatone. —Si, si, come se volesse ricrearsi un poco.

Trasone. —L’hai detta! Allora invitava me solo a cena

con seco.