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TRADUZIONI

Cremete. — Nulla mi disse, se non che, partendosi, mi fece cenno cosi col capo.

Pizia. — Non vi bastava questo?

Cremete. — Non penetrai allora quello ch’ella si volesse inferire, ma quel frappone del Capitano, con una licenza alla cortegiana, me la fece intendere benissimo. Ma eccola qua: mi meraviglio come io le sia passato innanzi.

SCENA SESTA Taide, Cremete e Pizia.

Taide. — Non credo che il Capitano potrá indugiar molto a comparir qua per tòrmi Pámfila; ma lascialo pur venire, che, se pur si fingerá toccarla con un sol dito, gli voglio, per mia fe’, cosi donna come sono, cavar gli occhi e ponergli in mano, ché mi è venuto tanto in odio, con quei suoi vantamenti sciocchi, che non è possibile che io possa piú vedermelo innanzi. Pur mentre la cosa se ne è andata in parole io mi son risa di lui; ma se vorrá venir a’ fatti, possa io morire se non lo fo crepare sotto un legno.

Cremete. — O Taide, è giá un pezzo ch’io giunsi qua.

Taide. — O messer Cremete mio, appunto io vi aspettava con desiderio grandissimo: sapete voi che tutti questi rumori son nati per cagion vostra e che tutta questa rissa appartien a voi solo ?

Cremete. —Come a me? Non mi attaccherete giá voi questa nespola, quasi che io dessi principio alla rissa.

Taide. — Perché, mentre m’ingegno restituirvi una vostra sorella, che voi perdeste giá, ho patiti da questo vigliacco del Capitano questi e altri affronti.

Cremete.— Mia sorella, dite voi? Oh, che gran ventura è questa mia di oggi ! Ora conosco a che fine tiravano le particolari richieste che mi facevate. Ma dove è ella?

Taide. — In casa mia.