Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/442

Da Wikisource.

TRADUZIONI

437

Gnatone. —O capitan Sanga, fa che tu, come è debito di un valente soldato tuo pari, non ti scordi mai della casa e della cucina.

Sanga. — Tanto farò, che è giá un pezzo che ho fitto l’animo al mangiamento.

Gnatone.— Va pur via, ché sei uomo da faccende.

Trasone. — Voi venite meco.

Gnatone. — Andiamo. So che ne facciamo poche e buone. Manco male che si partiamo con l’onor nostro, ché non siamo stati sonati se non di parole.

ATTO QUINTO

SCENA PRIMA Taide e Pizia.

Taide. — Ancor non fornisci, scelerata, di ragionar meco tanto inviluppatamente? — Lo so, non lo so, l’ho udito dire, egli se ne è fuggito, io non vi fui presente... — Non sarò io da tanto, che ti faccia dir chiaramente come stia il fatto? Di’ su, in tua malora, perché ha Pámfila la veste tutta stracciata e perché piange? E l’eunuco perché si è partito? Che cosa è accaduto di nuovo? Tu ancor non mi rispondi?

Pizia. — Che volete voi che io dica, meschina me? Dicono che quell’eunuco non è stato.

Taide. — Chi è stato dunque?

Pizia. — Questo signor Cherea.

Taide. — Che signor Cherea?

Pizia. — Questo sbarbatello, fratello del signor Fedria vostro.

Taide. — Che dici tu, strega?

Pizia. — Lo so di certo.