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SCENA SESTA Pizia e Parmenone.

Pizia. — Per mia fe’.che sono giá molti anni, che non mi è accaduta cosa che piú desiderassi di questa, ché il vecchio Lachete è venuto di sopra come insensato e me sola fece egli ridere, come colei che sapea benissimo di che temesse.

Parmenone. — Che cosa è questa che vuol inferir costei?

Pizia. — Ora non per altro sono uscita fuori, che per parlar con Parmenone; ma dove si sará egli fitto ?

Parmenone. — Cerca forse costei me?

Pizia. — Ma ecco che lo veggio qua; voglio incontrarlo.

Parmenone. — Che fai tu, mona concia? Che vuoi da me? Perché ridi? Tu non la sai ancor fornire.

Pizia. — Mi son risa tanto del fatto tuo, che non ne posso piú.

Parmenone. — E perché?

Pizia. — Perché, dici? Ti giuro di non aver a’ miei giorni conosciuto uomo piú corrivo di te, né meno credo di vederne. Ah, ah, ah! Non potrei mai ben raccontare quanto hai dato da ridere a quei di casa; ma certo che non mi sei riuscito, perch’io ti avea per uno ch’avesse saputo far la salsa puccia al nemico. Era egli di necessitá che tu, alla prima, credessi tutto ciò che ti dissi ? Ovvero ti parea poco male quello che il signor Cherea avea fatto per tuo consiglio, se ancora non lo accusavi al povero padre di lui? E qual animo ti credi che fosse quello del vecchio, quando vide il figliuolo con quei vestimenti di eunuco indosso? Ben, che pensier è il tuo? Tu vedi pure che, quanto al fatto tuo, non ti salverebbe la carta da navigare, che tu non andassi in marcia ruina.

Parmenone. — Non mi dicesti tu poco dianzi il vero ? Ancor ridi? Ti stimi tu aver fatto cosi bella prodezza, che ti abbi a ridere del fatto nostro?

Pizia. — E di che sorte, che l’ho fatta bella!

Parmenone. — Si, quando la passassi per bardotta.

T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso - ni.

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