Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/455

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TRADUZIONI

Pizia. — E che mi potresti mai far in cento anni? Se tu fossi tutto acciaio, non credo che faresti un ferro da trottola.

Parmenone. — Va, che l’hai fatta a una buona ciccia e ti costerá cara.

Pizia. — Lo credo su, ma cotesto che tu mi minacci verrá forse, Parmenon mio, di qui a qualche mese; ma il vecchio e il signor Cherea hanno giurato di volerti spianar di modo le costure del giubbone, che sii esempio agli altri servidori, e tanto maggiormente quanto, dopo aver infamato con sciocche furberie quel semplice giovanetto, sei subito andato ad accusarlo al padre.

Parmenone. — Costei dice il vero, che me la posso córre, ché, quanto al fatto mio, son suonate le ventiquattro.

Pizia. — Vedi dunque il bell’onore che ti sei fatto col dono di questo eunuco; rimanti, ché me ne voglio entrar in casa.

Parmenone. —È pur vero che io, come l’uccello che da se stesso dá nelle reti, mi son cagionato da me la mia ruina.

SCENA SETTIMA Gnatone e Trasone.

Gnatone. — Che risoluzion è questa vostra, signor Capitano ? Con qual speranza, con qual giudizio volete ora andar a porvi nelle mani de’nemici?

Trasone. — Son risolutissimo trattar d’accordo con Taide, e capitolar con lei nel miglior modo che si potrá, e alla fine, quando io veggia le mie cose disperate, còme rotto e sbandato affatto me le darò a discrezione, né mi recarò altramente a viltá il far tutto ciò che le piacerá comandarmi.

Gnatone. — Questo è un partito sicuro, purché vi sia la reputazion vostra.

Trasone. —Sarò io manco servidore alla mia bellissima Taide di quello che Ercole, scopo di tutte le mie azioni,, servisse la sua Onfale?