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TRADUZIONI
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Gnatone. — Oh, buono! Non si potea far la miglior pensata, e l’imitazion mi quadra e par fatta per voi. Ma non vi mancherebbe altro che gli desse nel voltò con un par di brace, sigillate dalla comunitá di Monterotondo. Arme, arme, signor Capitano ! Piano, olá, non vi ponete cosi presto in fuga !
Trasone. — E tu non ti partir di li, vigliacco; fa la scoperta, che non fosse qualche imboscata.
Gnatone. — Venite, venite pur sicuro: è la porta di Taide, che si apriva con una ruina che parea che cadesse il mondo. Se i poltroni si vendessero a peso, certo che il tesoro di San Marco non pagherebbe noi due. Ma chi è costui, che esce fuori cosi in fretta da casa di Taide? Ch’io mi ricordi, non l’ho mai veduto.
SCENA OTTAVA
Cherea, Parmenone, Fedria, Trasone e Gnatone.
Cherea. — Chi vive oggi piú felice di me? Certo nessuno invero, ché il grande Iddio, con accumular tante allegrezze nella mia persona, mi ha fatto appieno conoscer la sua potenza.
Parmenone. — Che cosa di buono può esser accaduta al mio padrone, che sta tanto allegro?
Cherea. — O Parmenon mio, tu sei qui, né mi dici nulla! O inventore, principio e fine di ogni mio piacere, sai tu che la mia Pámfila è stata trovata cittadina di questa cittá?
Parmenone. — L’ho udito dire.
Cherea. — Sai che ella è giá mia moglie?
Parmenone. — Questo no, ma io me ne rallegro estremamente, né si poteano accoppiar due che meglio stessero insieme di voi e lei.
Gnatone. — Avete udito, signor Capitano, che allegra antifona v’ha intonato colui?
Cherea. — Infinitamente mi rallegro ancora, che l’amor di mio fratello con Taide si sia ridotto in stato felice, perché