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Che attento alla difesa altrui, se stesso
Guardar non sa. Oh quante volte, oh quante
In quel loco gli manca la favella,
E dell' amor che l' agita ripieno.
Non della causa altrui, ma della propria
S’occupa solo! Dal propinquo Tempio
Ride la Dea di Pafo, e il difensore
Trasformato veder gode in cliente.
Ma più che altrove ne’ curvi Teatri
Troverai da far paghi i voti tuoi:
Ivi mille bellezze lusinghiere
Si offriranno al tuo sguardo, e tal potrai
Per stabile passion scegliere, e tale
Onde l' ore passare in gioco e in festa.
Come frequente la formica in schiera
Vanne al granajo a far preda di cibo;
E come Papi in olezzante suolo
Volan sul timo e sopra i fior; le culte
Donne in tal modo in folto stuolo assistono
Agli scenici ludi. È così grande
11 numero di queste, che sospeso
Mille volte rimase il mio giudizio.
Non a’ Teatri per mirar, soltanto,
Come per far di lor superba mostra
Vanno non senza del pudor periglio.
Tu questi giochi strepitosi il primo,
Romolo, instituisti; allor che il ratto 1

  1. Nell’anno del mondo 3231 fabbricò Romolo nel monte Palatino una Città o sia Fortezza, che dal suo nome chiamò Roma. Per accrescere il numero dei Cittadini, aprì un asilo fra il Palatino e il Campidoglio, in cui si ricevevano i Servi fuggitivi, i Debitori, i Malefici. Siccome i Popoli confinanti, e per conseguenza i Sàbini non volevano con tal gente collocar le lor Donne, Romolo gli invitò insieme con le sorelle, le mogli, e le figlie a uno spettacolo, che fe’ celebrare in onore del Dio Conso, ossia di Nettuno e comandò a’ suoi Romani che ciascun si rapisse fra quelle femmine una Consorte.