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[St. 35-38] | libro ii. canto xvi | 275 |
35 - Deh, - diceva Atalante - filiol mio,
Egli è un mal gioco quel che vôi vedere!
Stati pur queto e non aver disio
Tra quella gente armata de apparere;
Però che il tuo ascendente è troppo rio,
E, se de astrologia l’arte son vere,
Tutto il cel te minaccia, ed io l’assento,
Che in guerra serai morto a tradimento. -
36 Rispose il giovanetto: - Io credo bene
Che ’l celo abbia gran forza alle persone;
Ma se per ogni modo esser conviene,
Ad aiutarlo non trovo ragione.
E se al presente qua forza mi tiene,
Per altro tempo o per altra stagione
Io converrò fornire il mio ascendente,
Se tue parole e l’arte tua non mente.
37 Onde io ti prego che calar mi lassi,
Sì ch’io veda la zuffa più vicina,
O che io mi gettarò de questi sassi,
Trabuccandomi giù con gran roina;
Chè ognior ch’io vedo per que’ lochi bassi
Sì ben ferir la gente peregrina,
Serebbe la mia gioia e il mio conforto
Star seco un’ora, ed esser dapoi morto. -
38 Veggendo il vecchio quella opinïone,
Che gire ad ogni modo è destinato,
Andò di quel giardino ad un cantone,
Ove un picciol uscietto ha disserrato;
E menando per mano il bel garzone
Per una tomba discese nel prato,
A piè del sasso, a lato alla fiumana,
Ove si stava il re de Tingitana.
4. MI., Mr. e P. quella g. amMta. — 26. MI., Mr. e P. ad ogni. — 27.
P. MI 1411.