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Pagina:Boiardo - Orlando innamorato III.djvu/180

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xxviii prefazione


o meglio, questo codice è molto più facile a dire che a mettere in pratica.

Se io avessi avuto dinanzi un testo toscano, sapendo che l’ortografia (tolti alquanti casi, in taluno dei quali l’incertezza dura tuttora) è fissa e determinata, avrei esaminato senz’altro con diligenza la grafia di tutta l’opera, e dedotte quindi le abitudini grafiche del copista: poi il confronto con iscritture sincrone m’avrebbe fatto conoscere ciò che appunto era un’abitudine grafica od un arbitrio di quello, da ciò che era regola (diciamo così) universalmente accettata.

Ma il mio caso era diverso, perchè l’incertezza della grafia, oscillante tra il latino, l’uso toscano e il dialetto, è anzi la caratteristica di questa lingua del tutto artificiale, che potrebbe chiamarsi di tipo lombardo, per essere adoperata, sebbene con alcune differenze, rispecchianti questo o quel dialetto, da letterati e da cancellieri di Milano, Mantova, Ferrara, Piacenza, Padova, Venezia.

Codesta incertezza è accresciuta poi dalla imperizia dell’amanuense, il quale, anche là, dove il manoscritto del Boiardo conservava forse una cotale uniformità, altera la ortografia, sì che una stessa parola, una forma verbale, un nome proprio ci si presentano con due, tre, quattro diverse grafie.

A me dunque per queste ragioni correva l’obbligo di riprodurre fedelmente il codice. D’altra parte non potevo dimenticare che la presente edizione dell’Innamorato, pure essendo fatta in servigio degli studiosi, non doveva riuscire illeggibile, e che bisognava anche