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Pagina:Boiardo - Orlando innamorato III.djvu/184

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xxxii prefazione


e sonacchioso, azuro e azzurro, magior e maggior, piaccia e piazza, alcia e alza, damigella, damigiella e damisella, anello ed annello, lito e litto (falsamente da lictus?) conservai la duplice o triplice grafìa; ma erano da considerare come vere varianti ortografiche altre forme, delle quali si cercherebbe invano una spiegazione plausibile, e le quali anche numericamente non sembrano avere alcuna autorità per essere conservate? Io trovo nei primi canti usate le forme rengo, arengo, renga, regno: quattro per uno stesso vocabolo; ma l’ultima non è da tenersi come un errore di scrittura? Tale sarà pure un chiera che ricorre talvolta nel poema, sostituendosi alla forma regolare ciera (aspetto) e che non ha riscontro in altre scritture del Boiardo (cira nelle Ietterei: un ferrita che ha rarissimi riscontri da poi, un perregrino ecc. Io credetti in questi casi di adottare una grafia sola, dando in nota la forma che non entra nel testo; e in nota ho relegato pure alcune varianti puramente linguistiche, quante volte poteva credersi che la forma accolta nel codice fosse, non già una vera correzione, ma un arbitrio dell’amanuense.

Citerò un’altro caso che mi tenne un po’ perplesso: il raddoppiamento per enclisi. Dopo vocale tonica il raddoppiamento della consonante è normale: dopo vocale postonica, come in vennello, bàttello, ricorre più di raro. Io considero tale grafia come puramente analogica, e accetto sempre quella che si uniforma all’odierna. Ed anche del raddoppiamento della sibilante nelle forme persse, corsse, legasse (legasi) non