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DA DOLOGNA 149


la Casa dello Estense Nicolò superava in cristiane virtù, quelle degli altri Principi d’allora.

L’uguaglianza dei sentimenti che malgrado ogni altra disparità forma mai sempre il più tenace vincolo di amicizia, rese ben presto la giovane Principessa, e la tenera fanciulla indivisibili fra loro. Pari nei desideri del loro spirito, pari chiedevano l’esca per pascolarlo. La Bibbia, le Opere dei Santi Padri e Dottori della Chiesa; dai quali apprendevano a trarre dalla Sacra Scrittura pura e splendida la scienza della Divina parola; non che altri libri ascetici, erano di continuo alle loro mani. Su di essi Caterina, che in particolar modo erasi fatto famigliare il latino idioma, sino a scriverlo tersamente, perfezionava lo intelletto; ed il divino spirito accendendola vieppiù di amore per l’Autor primo di ogni bene, pascevale il cuore di quella gioia celestiale, che, saldo e immutabile, non può trovar forza maggiore se non in chi la inspira. Ecco in qual guisa la bolognese donzella trasse circa tre anni alla corte del Signore di Ferrara, amata e rispettata quan t’altra Dama mai lo fosse; ma il fasto al quale indispensabilmente doveva assoggettarsi ella stessa, il brio, le feste, il rumore, gli usi infine cortigianeschi, male addicendosi a quell’anima leale, umile e devota, che ogni di più sco stavasi dalle umane cose, e di peso e di martoro divenivale tutto ciò che distoglievale dal suo Dio, le ſecero ardentemente bramare la pace di un ritiro. Siccome però sapeva essere volere del padre che quivi si tenesse, e che avrebbe cagionato inesprimibile dolore alla sua Signora, col solo parlarle di distaccarsi da lei; conscia d’altronde che l’appagare una devota brama non è spesso opera meritevole quanto un sacrifizio; chè, più solido cardine delle cristiane virtù è la sommissione ai maggiori; ella, obbediente al padre, alla principessa affettuosa, stavasi al suo posto.