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Niso.O Celia!
Celia.Oimè !
Nar.Deh lungi,
lungi da lei, pastori:
quivi ascosi tacete, infin ch’io sgombri
da questa mente addormentata i sogni.
Celia.Ma pur al loro aspetto
la fiamma del mio core, oimè, s’avanza.
Dunque i mostri d’inferno
spiran fuoco d’amore? Ahi troppo è crudo,
se col fuoco d’amore arde lo ’nferno.
Nar.O figlia!...
Celia E chi è costui,
cosi barbuto e bianco?
Forse ? vecchio Caronte? A l’altra riva
non ho varcato ancora?
Nar.Celia, figlia, vaneggi.
Deh riscuotiti omai, tu se’ tra’ vivi.
E se noi credi, mira
colà girando il cielo
ir a l’occaso il sol, che tu pur dianzi
vedesti in oriente;
mira al soffiar de l’aura
questa fronda cadente.
Là ne’ regni de l’ombre,
o non si leva o non tramonta il sole;
né quell’eterne piante
caduca fronde adorna.
Se’ in terra de’ mortali, e tu se’ viva.
io son Narete: questi
son i campi di Sciro. E non conosci
il prato de la fonte,
il boschetto del Cervo, il monte d’Euro,
il colle Orminio, il colle ove se’ nata?
Or che rimiri? E’son ben dessi: parla.
Che pensi omai? non ti risvegli ancora?
G. Bonarëlli, Filli dí Sciro.