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ATTO QUARTO IO3
hai di Clori, o Filino,
da recar sospirando?
Fil.O non è viva o muore.
Celia.Muore?
Amin.Oh!
Niso.Che dic’egli?
Celia.Ahi, come e dove?
Fil.Ne la valle...
Cella. Di’ tosto !
Fil.Adagio! appena
anelando respiro.
Ne la valle d’Alcandro
io l’ho testé lasciata,
ove giacea, non miga
in su l’erbetta a l’ombra,
ma fra G ignude pietre,
ove più scalda il sole.
Ella quivi piagnendo
prendea dal ciel commiato,
e con dolenti voci
affrettava la morte.
Ma ben G a vea da presso; i’ l’ho veduta
che già con l’ali sparse
faceale ombrar di pallid’ombre il volto.
Niso.Oh infausto giorno!
Celia.Ahi, qual empia cagione
ha di dolor sí fiero?
Amin.Forse ? romor ch’è sparso
de la tua morte. O Celia, e chi vorrebbe,
andando a morir tu, restar in vita?
Niso.Aminta, è costei forse
quella Clori, a cui diedi il cerchio?
È dessa.
Amin.
Celia.
Ah ria
fortuna !
Niso.
O
Celia,
andiam
colà; fors’
anco