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al saporito pascersi del capro.
Quand’ecco di repente (oh fiero caso!)
veggiol cader tremando.
Credi che ’n un baleno io v’accorressi?
Io ؛ miro, il chiamo, il pungo;
_ ei mi rimira e geme,
e fioco parea dir: — Filino, i’ muoro! —
Cosi torbidi e scuri
gli occhi, quegli occhi belli,
vidi fuggir fin entro ؛ capo, e chiusi,
lasso! morire il vidi.
Celia.E pur non m’assicuro
ch’egli non sia rimaso
svenuto anzi che morto,
e per altra cagion che di quel pasco.
Filin, poco t’intendi
o d’animali o d’erbe:
tu se’ fanciullo ancor.
Fil.Si, ma Narete,
quella si folta e si canuta barba,
parti fanciullo anch’egli,
che poco d’erbe o d’animai s’intenda?
Celia.Ma che dice Narete?
Fil.Ei corse a le mie strida
la dove sopra ؛ capro
io mi stava piangendo,
e poi ch’egli ebbe udita
la cagion del mio pianto:
— Oh mal’erba! (diss’ei); caccia, Filino,
caccia la greggia altrove. — E quinci intanto,
fattosi al capro, il trasse
ver la sponda del rio.
A me non diede il core
di vederlo gittar ne l’acqua, e tosto
piangendo a te men corsi.
Celia.Merta fede Narete.