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vera Laura il di cui abbattimento era portato all’estremo. L’amabile giovinetta aveva pianto, e teneva gli occhi ancor pieni di lagrime rivolti verso la città.
Ermanno non era ancor giunto, ed ella n’era inquieta; non già che dubitasse di lui, il cuore le diceva che a qualunque costo ei non avrebbe mancato; ma temeva che un qualche incidente gli facesse ostacolo — Ella voleva vederlo ancor una volta per rivelargli collo sguardo tutte le pene che soffriva il di lei cuore — E quella lettera? in essa la meschina fondava tutte le sue speranze per qualche conforto, allorchè fosse giunta a casa.
— Partenza per Milano, gridò una voce roca.
Ed egli non veniva ancora; invano Laura spingeva lo sguardo ove più glie lo permetteva la scarsa luce della luna — Ad un tratto il di lei occhio scintillò di gioia, ed il cuore le balzò vivamente in seno — Era desso!
Diffatti Ermanno apparve poco lungi. Era tempo!
Laura senza punto curarsi degli altri, e spinta da un moto involontario, gli si fece incontro stendendogli la mano.
Una lettera passò da una mano all’altra in un baleno, e mentre Ermanno volgevasi a salutare Madama Ramati, Laura la nascose lestamente in seno.
— Per Milano si parte, ripetè la stentorea voce del guardia sala.
— Buon viaggio, tanti saluti allo zio.
— Mille grazie!
— A rivederci signor Ermanno, disse madama Ramati, venga presto a trovarci a Milano; l’aspettiamo.
— Non mancherà occasione.
— Addio Laura!
— Addio Letizia, e le giovinette si baciarono.