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non credo avere mai spinto il mio amore fino a questo punto.

«Queste avventure ci avevano resi indisciplinati. Io sosteneva nelle scuole certe opinioni piuttosto ardite, battagliava con tutto il mondo, non so più per qual sistema di metafisica, quindi venni in sospetto de’ miei superiori. Fui spiato, denunziato anche da un invidioso della mia incontrastabile supremazia in lettere e filosofia. Comunque sia, venne il dì della catastrofe.

«Fui un bel giorno avvertito che il comandante della città, il conte Pallieri, padre dell’attuale consigliere di Stato, mi chiamava. V’andai, sperando esservi qualche buona notizia per me del Piemonte, giacchè era sul termine dei miei studi. Ma era ben altra cosa. Il terribile comandante, dopo avermi ben bene squadrato, forse credendo di trovare in me qualche cosa di straordinariamente facinoroso, e trovatomi di aspetto avvenente, di carattere dolce, si rabbonì immediatamente, e mi andò con garbo rimproverando delle mie opinioni politiche e filosofiche, meravigliando come così giovine fossi divenuto una pietra di scandalo per tutto il collegio. Io non potea, nè sapea giustificarmi; venni dunque consegnato a un buon carabiniere che mi ricondusse a Mondovì.»

Il padre inviollo a studiare legge all’università di Torino, ma egli, invece di stillarsi il cervello ad apprendere le discipline legali, per le quali si sentiva un’insuperabile repugnanza, assisteva colla più grande puntualità alle lezioni del celebre professore di letteratura Manera, di cui parla come segue nelle sue memorie:

«Sembra che questo distinto professore avesse mandato secreto di raccogliere intorno a sè l’eletta della gioventù piemontese. Nell’anfiteatro anatomico di Torino dava le sue lezioni spiegando Dante, a cui accorrevano tutti gli studenti di letteratura. Vi erano allora Brofferio, che poi volò come aquila sugli altri, Basilico, Aprati, Montanari, Bianchini, Mattirolo, De Bager, Marenco, ed altri che non rammento. Il gesuita, fattomi chiamare a sè, voleva assolutamente che io prendessi parte a quelle giostre accademiche. Mi scusai, rincalzò