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Il marchese Pareto ravviva ed elettrizza colla sua calda e un po’ scompigliata parola la gravità alquanto sonnolente della magistrale Assemblea, in cui da bel principio, malgrado i suoi bianchi capelli, sembrava si trovasse fuori di luogo.


senatore.


È un gentiluomo romagnolo che si è di buon’ora e con buon frutto applicato agli studi, tanto quell’età nella quale troppo spesso in Italia delle famiglie illustri per censo e per natali a vivere una vita frivola o scioperata, egli che in membri si danno era già avanti nella stima degli uomini assennati e faceva augurare a quelli che prevedevano i grandi rivolgimenti d’Italia che avesse à prendervi un posto non certo degl’infimi.

Gli avvenimenti del 1859 lo misero subito in vista. Ebbe importanti incarichi nella propria provincia, sottrattasi, come ognun sa, al giogo insoffribile del governo pontificio, e venne quindi, compiuta l’annessione di essa al Piemonte, eletto deputato al Parlamento nazionale.

Uomo riservato, e poco amante di far romore non prese mai la parola nelle pubbliche discussioni, ma negli uffici ebbe campo di darsi a conoscere per per sona di molto sveglio concetto e ricca di cognizioni.

Il marchese Massimo d'Azeglio non essendo contro la generale espettazione riuscito a piacere ai Milanesi come prefetto, si mise in quell’importante quanto difficile posto il conte Pasolini, che non tardò a farsi amare e stimare massimamente dai suoi amministrati.

Questo successo gli fe’ il più grande onore e valse ad attirare sovra di esso l’attenzione generale. Cosicchè S. M. lo invitò, essendosi resa vacante la prefettura di Torino, ad assumerne le funzioni. Al che il Pasolini acconsenti, benchè moltissimo gli dolesse di distaccarsi dai Milanesi, i quali dal canto loro non videro che con sommo rammarico la partenza di lui.