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Una sottoscrizione aperta tra i compatrioti stabiliti a Montevideo valse tuttavia a provvedere un brick ai garibaldini, cui il governo della Repubblica, malgrado la sua povertà, volle far dono di due cannoni e di ottocento fucili.
Rimesso appena piede in Italia, il nostro protagonista si presentò a Re Carlo Alberto in Roverbella. e fu da quel principe diretto al ministro della guerra Ricci, il quale non seppe far delle sue offerte quel caso che meritavano. Allora, un po’ indignato contro il governo piemontese, Garibaldi si unì al colonnello Medici, grande amico d’Anzani, morto sventuratamente appena tornato in patria, e seco lui recossi a domandar servizio al governo provvisorio di Milano. Questi accolse bene il nostro protagonista, gli diè titolo di generale e l’autorizzò ad organizzare de’ battaglioni di volontari lombardi. In pochi giorni meglio di tremila combattenti circondavano l’eroe di Montevideo, ed erano pronti a seguirlo per tutto ove contasse guidarli.
Ma le cose italiane già volgevano a male. Tentato invano il blocco di Mantova, spinta senza successo una ricognizione fin sotto Verona, perduta la posizione di Valeggio, impegnata per ricuperarla la battaglia di Custoza, nella quale l’eroismo de’ soldati italiani soggiacque, più che per il numero stragrande dei nemici, per la inintelligenza dei condottieri, principiò quella serie di sventure che in meno di due settimane ricondusse gli Austriaci a Milano.
Garibaldi, chiamato a difendere la capitale lombarda, fu arrestato in via dalla fatale notizia della conclusione dell’armistizio Salasco. Allora ebbe pensiero di conservare almeno la schiera ch’egli guidava, quel nucleo d’armati, ai quali altri si sarebbero aggiunti sin che fosse possibile alla loro testa di riprendere le ostilità. Ridottosi con rapida marcia da Monza, ove stava per penetrare, in Como, ebbe quivi a subire un primo e fiero disinganno, mentre fatto l’appello dei suoi, da cinquemila che erano, li trovò ridotti a duemila.
«Il capo di stato maggiore Bottaro — narra il Vecchi nella sua storia d’Italia, 1848 e 1849 — era fuggito pel primo con altri duecento da Luvino. Il buon