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Teti marina e Cérato godette
Vedute con la figlia di Latona
Andar lor figlie in un drappel ristrette.
Per le mura trovar, che il Fabro introna,
Di Meliguni all’isoletta trasse,
Che di Lipari in voce ora risuona. 1
Stavano intorno alle candenti masse
I Ciclopi, e un gran vaso era il subietto,
Che i destrier di Nettuno abbeverasse:
Allo scoprir lo spaventoso aspetto
Di mostri somiglianti ai gioghi d’Ossa,
Ad ogni ninfa il cor battea nel petto;
Nel mezzo della fronte occhio s’infossa
Grande all’imago di rotondi scudi,
E luce in luce orribilmente rossa,
Risuonano percosse armi ed incudi,
Spiran entro i carbon pelli bovine,
E gemon per fatica i petti ignudi.
Le Sicane contrade e le vicine
Piagge d’Ausonia e Corsica tremanti
Erano al rimbombar delle fucine,
Mentre fean sollevando i fier giganti
E le mazze abbassando impeto e metro
Su le tolte ai cammin masse fiammanti.
Perchè le figlie d’Oceano indietro
Volgeano esterrefatte orecchi e ciglia,
Avvezze paventar del noto spetro,
Che madre irata a parvoletta figlia
Invocare i Ciclopi ha per usanza,
Sterope o tal di quella atra famiglia.
Mercurio allora da secreta stanza
Pare e le gote di fuliggin tinge,
E spegne alla ritrosa ogni baldanza,
Che in frettolosi passi si restringe
Tutta tremante alle materne stole,
E con ambe le mani il viso cinge.