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Una breve storia personale del software libero 31


Le licenze di software libero non sono un fenomeno nuovo. In effetti, alcune tipologie di licenze, specie quelle di derivazione universitaria (MIT, BSD) risalgono a un periodo in cui non esisteva un’espressa tutela del software. In ambito accademico tali licenze concedono un uso piuttosto “liberale” del software. In pratica è possibile qualsiasi utilizzo del software, inclusa la copia e la modifica, a due condizioni fondamentali: far sapere chi è l’autore del software (perché l’uso del software da parte di altri è fattore di prestigio per l’autore, e di acquisizione di “credito” universitario) e di escludere ogni forma di responsabilità. Si trattava di software libero o open source ante litteram.

La seconda fase: il copyleft

Richard M. Stallman, il fondatore del nuovo movimento di liberazione del software, si rese conto che in ambito “commerciale” non valeva la regola del tutti condividono tutto, salvo il dovere di attribuzione della paternità, cui era abituato in ambito universitario. Galeotta fu una stampante di rete, una fantastica stampante laser dipartimentale, che aveva però l’abitudine di incepparsi. Siccome la utilizzavano in tanti, per produrre stampe di tante pagine, a ogni inceppamento i lavori restavano in coda fino a che qualcuno non li andava a ritirare e si accorgeva dell’inghippo. A quel punto i lavori a seguire venivano ritardati anche di molto. Per ovviare a ciò Stallman aveva modificato il software in modo che, invece di semplicemente emettere un segnale luminoso sulla stampante, venisse inviato un messaggio in rete, così il proprietario del lavoro inceppato – informato – poteva alzarsi e risolvere subito l’inceppatura.