Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/186

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sono per fare in ciò cosa alcuna, che Ella prima non la sappia e che prima non l’appruovi; percioché voglio che principalmente ci sia la satisfazion sua: non lasciando però di cercar modo, quanto io potrò, migliore, per satisfare ancora, com’è mio debito, al Castelvetro; nel qual modo, se cosa alcuna sará la quale non piaccia a V. S., io di ciò averò sommamente caro di esser corretta dal prudentissimo consiglio suo ed aiutata insieme: il qual consiglio sono deliberata d’udir prima che con altra persona ne favelli.

Dico adunque, signor mio, che a me pare come a V. S., che questa differenza non si possa accommodare in altro modo migliore che a chi ha, si tenga, avendo risguardo al tempo passato. Ma, riguardando al futuro, giudico che ci sia bisogno d’alcun rimedio. E il rimedio vorrei che fosse questo: che il Castelvetro raccogliesse tutti gli scritti mandati fuori da lui, quanto meglio potesse, dovendo verissimamente sapere in mano di chi si truovano, e, raccolti, tenerseli appresso di sé, o gli ardesse; non perché

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io creda che, essendo fuori, levino niente a V. S., ma perché potrebbono levar fermezza alla pacificazione e, mentre sono fuori, dar segno di non buono e ben pacificato animo. E che V. S. dall’altra parte facesse il medesimo degli scritti suoi, gli quali crederò che siano in mano d’amici, che ne faranno il voler suo; ed in questo modo si torrebbe occasione d’irritar di nuovo gli animi. Poi vorrei che ’l Castelvetro promettesse di non parlare né scrivere disonoratamente de’ scritti di V. S. né V. S. de’ suoi. Appresso sarebbe mio desiderio che, per maggior stabilimento della pace, il Castelvetro le scrivesse una lettera di mano sua, la quale mostrasse il buon animo suo e il dispiacer sentito di averla offésa; e che V. S. similmente, per amore e contento mio, gli rispondesse con quel destro e gentile modo che saprebbe, accioché si conoscesse che fosse finita con amore, si come io spero e desidero sommamente. E s’io sono stata tarda a rispondere a V. S., ciò è nato perché io avevo tolto a rallegrare monsignor Figliucci, quale è stato alloggiato non so quanti giorni in casa mia: ora è partito per Roma. Ed io, non avendo altro che dirle, starò aspettando il suo volere, dal quale non sono mai per partirmi. E baciandole la mano, di tutto core me le raccomando.

Di Modena, agli 22 di gennaro 1557.