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libro secondo. 157


le risa di questa burla non solamente il dì seguente, ma quasi insino adesso son durate.

LXXXVIII. E così essendosi per lo raccontarla alquanto rinovato il ridere, soggiunse messer Bernardo: È ancor un modo di burlare assai piacevole, onde medesimamente si cavano facezie, quando si mostra credere che l’uomo voglia fare una cosa, che in vero non vuol fare. Come essendo io in sul ponte di Leone una sera dopo cena, e andando insieme con Cesare Beccadello scherzando, cominciammo l’un l’altro a pigliarsi alle braccia, come se lottare volessimo; e questo perchè allor per sorte parea, che in su quel ponte non fosse persona: e stando così, sopragiunsero dui Franzesi, i quali vedendo questo nostro debatto, dimandarono che cosa era, e fermaronsi per volerci spartire, con opinion che noi facessimo questione da dovero. Allor io tosto, Ajutatemi, dissi, signori, chè questo povero gentiluomo a certi tempi di luna ha mancamento di cervello; ed ecco che adesso si vorria pur gittar dal ponte nel fiume. — Allora quei dui corsero, e meco presero Cesare, e tenevanlo strettissimo; ed esso, sempre dicendomi ch’io era pazzo, mettea più forza per svilupparsi loro dalle mani, e costoro tanto più lo stringevano: di sorte, che la brigata cominciò a vedere questo tumulto, ed ognun corse; e quanto più il buon Cesare battea delle mani e piedi, chè già cominciava entrare in collera, tanto più gente sopragiungea; e per la forza grande che esso metteva, estimavano fermamente che volesse saltar nel fiume, e per questo lo stringevan più: di modo che una gran brigata d’uomini lo portarono di peso all’osteria, tutto scarmigliato e senza berretta, pallido dalla collera e dalla vergogna, chè non gli valse mai cosa che dicesse, tra perchè quei Franzesi non lo intendevano, tra perchè io ancor conducendogli all’osteria sempre andava dolendomi della disavventura del poveretto, che fosse così impazzito.

LXXXIX. Or, come avemo detto, delle burle si poria parlar largamente; ma basti il replicare, che i lochi onde si cavano sono i medesimi delle facezie. Degli esempii poi n’avemo infiniti, chè ogni di ne veggiamo; e tra gli