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libro terzo. | 223 |
Magnifico, non sarà maritata, avendo d’amare, voglio che
ella ami uno col quale possa maritarsi; nè reputarò già errore
che ella gli faccia qualche segno d’amore: della qual cosa voglio
insegnarle una regola universale con poche parole, acciò
che ella possa ancora con poca fatica tenerla a memoria; e
questa è, che ella faccia tutte le dimostrazioni d’amore a chi
l’ama, eccetto quelle che potessero indur nell’animo dell’amante
speranza di conseguir da lei cosa alcuna disonesta.
Ed a questo bisogna molto avvertire, perchè è uno errore
dove incorrono infinite donne, le quali per l’ordinario niun’altra
cosa desiderano più che l’esser belle: e perchè lo avere
molti inamorati ad esse par testimonio della lor bellezza,
mettono ogni studio per guadagnarne più che possono; però
scorrono spesso in costumi poco moderati, e, lasciando quella
modestia temperata che tanto lor si conviene, usano certi
sguardi procaci, con parole scurrili ed atti pieni d’impudenza,
parendo lor che per questo siano vedute ed udite volontieri,
e che con tai modi si facciano amare: il che è falso;
perchè le dimostrazioni che si fan loro nascono d’un appetito
mosso da opinion di facilità, non d’amore. Però voglio
che la mia Donna di Palazzo non con modi disonesti paja
quasi che s’offerisca a chi la vuole, ed uccelli più che può
gli occhi e la volontà di chi la mira, ma coi meriti e virtuosi
costumi suoi, con la venustà, con la grazia, induca nell’animo
di chi la vede quello amor vero che si deve a tutte le
cose amabili, e quel rispetto che leva sempre la speranza di
chi pensa a cosa disonesta. Colui adunque che sarà da tal
donna amato, ragionevolmente dovrà contentarsi d’ogni minima
dimostrazione, ed apprezzar più da lei un sol sguardo
con affetto d’amore, che l’essere in tutto signor d’ogni altra;
ed io a così fatta Donna non saprei aggiunger cosa alcuna,
se non che ella fosse amata da così eccellente Cortegiano
come hanno formato questi signori, e che essa ancor amasse
lui, acciò che e l’uno e l’altro avesse totalmente la sua perfezione.
LVIII. Avendo infin qui detto il signor Magnifico, taceasi; quando il signor Gasparo ridendo, Or, disse, nom potrete già dolervi che ’l signor Magnifico non abbia formato